Il Terrorismo di Sinistra

Sulle ragioni, le relazioni e le strutture del terrorismo italiano (e, va da sé, internazionale), in quel periodo noto come "anni di piombo", sono state scritte innumerevoli pagine.
All’inizio degli anni Settanta, quando il fenomeno terroristico era avvolto da una fitta nebbia, in parte procurata da strutture interne allo Stato e collegate alla Nato, in parte determinata da una sistematica disinformazione operata dai partiti legati al Patto di Varsavia e, in larga misura, sollevata da una stampa colpevolmente ostile a guardare in faccia la realtà, preferendo seguire dei teoremi astratti, l’idea che si aveva nel Paese dei fenomeni terroristici era del tutto fideistica. I giovani di sinistra, che avevano stabilmente occupato le piazze, ripetevano ossessivamente degli slogan che, nella maggior parte dei casi, erano stati coniati da leader che avevano ampie connivenze con il fenomeno eversivo: strage di Stato, bombe fasciste e via discorrendo. Per converso, i primi attentati compiuti da gruppi terroristici di diretta derivazione extraparlamentare, operaista o, piuttosto spesso, di provenienza Pci, furono sbrigativamente catalogati come opera di provocatori fascisti, che procuravano allarme nel Paese allo scopo di destabilizzare le istituzioni, "per favorire una svolta autoritaria".

Questa tendenza a mescolare le carte è sopravvissuta a lungo, ed ha contribuito non poco ad ingarbugliare la già intricatissima matassa della nostra storia recente. In queste pagine, ci occuperemo del terrorismo che ormai possiamo senza incertezze definire di sinistra e che si collega, come credo sia stato dimostrato nell’inserto precedente, ad una lunga tradizione eversiva. Il prossimo inserto, viceversa, cercherà di fare un po’ di chiarezza sul terrorismo nero, sia su quello a suo tempo definito "stragista"(ad esempio Ordine Nuovo o Avanguardia Nazionale) che su quello di provenienza, chiamiamola così, contestativa (i Nar, per tutti).


Le origini del terrorismo di sinistra
Fin dall’istituzione, nel 1986, della Commissione Stragi, apparve chiaro che il terrorismo di sinistra avesse delle origini agnatizie assai più evidenti del suo omologo di destra; i due fenomeni cui principalmente si fece risalire la svolta eversiva dell’extraparlamentarismo di sinistra furono, sul finire degli anni ’60, la contestazione studentesca e la protesta operaia e sindacale. Meglio ancora, potremmo aggiungere, fu la fusione di questi due fattori a produrre la micidiale miscela che diede il via ad una stagione che insanguinò l’Italia.
Le due fonti principali che ci permettono di ricostruire questa stagione sono, in primis, le risultanze dell’azione giudiziaria e, in secundis, l’ormai ampia scelta di scritti a carattere memoriale licenziati dai protagonisti di quel periodo.
Oggi appare acclarato che il terrorismo delle Br e di Prima Linea sia un imbarazzante e, per molti versi, doloroso, pezzo della storia della sinistra marxista italiana; ma allora, e per molto tempo, nonostante il modesto grado di segretezza di certe situazioni, si preferì ignorarne l’essenza, a favore di fantasiose letture dietrologiche della storia: attività nella quale gli italiani paiono brillare.
Bisogna dire che, oltre ad agire a volte alla luce del sole, i gruppi eversivi di sinistra non fecero mai mistero dei propri obiettivi e della propria matrice ideologica: fu, semmai, il popolo della sinistra che operò una sorta di rimozione collettiva, dello stesso tipo di quella che successivamente vide qualche leader dell’ex Pci sostenere, con sprezzo del ridicolo, ma anche con un evidente atteggiamento schizofrenico, di essere sempre stato anticomunista!
In realtà, tornando alle origini del fenomeno, il cosiddetto ’68, più che rifarsi alla dottrina marxiana, si ricollegava alle varie rivolte studentesche (sostanzialmente trasversali, pacifiste, genericamente hippy) che erano scoppiate anni prima negli Stati Uniti (1964), in Germania, in Francia, in Inghilterra: erano rivolte che inalberavano simboli vagamente libertari, come i Beatles, o antiborghesi, come le culture orientali, la libertà sessuale o l’uso di droghe, ma che mancavano di quel substrato radicalmente rivoluzionario che fu dato loro solo dalla politicizzazione del movimento da parte della sinistra e dalla loro coniugazione con le rivendicazioni operaie.
Acutamente, in sede di Commissione Stragi, venne sottolineato come, nell’atmosfera originaria del ’68, si leggesse molto di più Herbert Marcuse, con la sua protesta contro la società di massa, che Marx. In Italia, però, esisteva un poderoso apparato politico, una struttura organizzatissima: il Pci; e questo apparato non poteva lasciare allo spontaneismo un’occasione tanto ghiotta di dominare la piazza!
Per questo, praticamente da subito, la protesta spontanea venne incanalata entro una precisa traccia politica e collegata alle lotte operaie e sindacali, creando l’humus per una radicalizzazione dello scontro, che vide le nuove tensioni raccolte da gruppi che già esistevano (a riguardo si veda quanto già scritto su Feltrinelli), ma che erano, in un certo senso, in una fase latente.
Possiamo individuare con una certa precisione gli eventi che portarono alla slatentizzazione di questi gruppi, alla loro unione con il neonato estremismo e, quindi, alla scelta dello scontro armato con le istituzioni: uno di questi è, per certo, lo sciopero generale del 19 novembre 1969.
A Milano, in quella circostanza, dopo il sovrapporsi di un corteo sindacale ad uno della sinistra extraparlamentare, scoppiarono violenti scontri, nei quali fu ucciso l’agente di P.S. Antonio Annarumma. Annarumma fu il primo dei fedeli servitori dello Stato che caddero in quel terribile ventennio; e che, colpevolmente, il Paese ha dimenticato, per facilitare la rimozione di cui parlavamo prima. (Anche se vale poco, vorremmo, da queste pagine, ricordare tutti quei valorosi, che, uomini qualunque, sacrificarono la propria vita per difendere la nostra, e la libertà dell’Italia, nella lotta contro il terrorismo; e salutare con devozione le loro famiglie)
Il secondo evento che agì da spartiacque tra la pura manifestazione e la scelta dello scontro deliberato fu la strage di piazza Fontana: momento che incise fortemente sulla successiva esplosione di violenza.
Insomma, in un primo momento, le tre anime dell’eversione erano quella studentesca, quella operaista e quella "resistenziale", che, proprio nella strage di piazza Fontana vide una trama nera, golpista e destabilizzante, contro cui si doveva resistere, resistere, resistere!

Il partito armato: le Brigate Rosse
La prima cosa che colpisce, nell’esame della nascita e dell’evoluzione dei gruppi terroristici di sinistra, è la fragilità del loro sistema clandestino: in poche parole, almeno agli inizi, questi eversori commisero tali e tanti errori alla luce del sole che, con ogni probabilità, un intervento deciso e attento dello Stato avrebbe potuto facilmente sgominarne le strutture.

Si tenga presente, inoltre, che non tutti i terroristi vivevano effettivamente in clandestinità e che molti di loro svolgevano attività extraparlamentari da tempo note alle forze dell’ordine.
I primi tentativi eversivi, come quelli di Barbagia Rossa o dei Primi fuochi di guerriglia calabresi, appaiono decisamente velleitari, così come l’attentato incendiario di Linate, del 25 gennaio 1971, in seguito al quale (su 8 ordigni 5 non funzionarono), sul volantino di rivendicazione, si scrisse, con involontaria profezia: "Sbagliando si impara!".
All’inizio, dunque, si palesava una certa impreparazione tecnica degli aspiranti attentatori, che, sovente, erano le prime vittime della propria attitudine bombarola: l’11 marzo del 1973, a Napoli, un ordigno che stavano preparando uccise un militante dei Nap (i Nuclei Armati Proletari) e ne ferì gravemente un altro; il 30 maggio successivo, ad Aversa, un altro nappista morì nello stesso modo.
Già nel 1971, le Br commentavano lo stato d’impreparazione in cui si trovano le forze rivoluzionarie di fronte alle nuove scadenze di lotta". Così come dal punto di vista militare, anche da quello della segretezza, come accennavamo sopra, questi gruppi facevano acqua da tutte le parti: il gruppo genovese "22 ottobre" fu infiltrato quasi subito da malavitosi e confidenti della polizia, tanto che, dopo il suo primo attentato, l’uccisione di un portavalori a scopo di autofinanziamento, esso fu rapidamente liquidato dalle forze dell’ordine.
Lo stesso dicasi per le Brigate Rosse, cioè per il gruppo più importante dell’eversione rossa: gli stessi fondatori delle Br, come Mario Moretti o Alberto Franceschini, parlano di convegni fatti sotto gli occhi della polizia o di situazioni in cui "ci si conosceva tutti"; unica protezione autentica per i membri di queste organizzazioni era l’"omertà proletaria", che protesse a lungo, nelle fabbriche, i militanti ed i fiancheggiatori del terrorismo di sinistra, e che fu uno dei motivi della solita rimozione: in molti, tra i campioni del proletariato, avevano la coscienza sporca!
Quanto alle infiltrazioni di uomini dello Stato all’interno delle strutture clandestine, una voce autorevolissima al riguardo è quella del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, che, in una deposizione, chiarì che i Carabinieri ed altre forze dell’ordine avevano avuto sempre, e fin da subito, infiltrati in queste organizzazioni; questa testimonianza è stata confermata di fronte alla Commissione Stragi anche dall’ex capo dell’ufficio "D" del Sid, generale Giovanni Romeo.
Insomma, l’attività di intelligence nei riguardi delle Br e degli altri gruppi eversivi era stata, fin dall’inizio, ficcante ed efficace: come mai, dunque, dal punto di vista operativo non si venne a capo del fenomeno in tempi brevi?
Una risposta potrebbe consistere nel forte radicamento che l’eversione rivoluzionaria aveva nella società, tenendo conto del momento storico; questa è però una risposta bifronte, in quanto proprio questo radicamento, in definitiva, rendeva più penetrabile la segretezza delle strutture. Basti pensare a quanto si poteva leggere sul primo numero di un periodico legale come Nuova Resistenza, nato dalla collaborazione tra Feltrinelli e le Br: "Tutto il lavoro del nostro giornale vuole essere un contributo a sciogliere ostacoli, presentando la guerriglia, le tesi e le tendenze di quei movimenti di classe che hanno come base comune lo sviluppo della guerriglia come forma di lotta dominante per la liberazione della classe operaia da ogni sfruttamento".
Oppure, si pensi alla struttura ibrida di Potere Operaio, che da una parte era strettamente legato al terrorismo clandestino delle Br (Valerio Morucci e Adriana Faranda, per esempio) o a quello di piazza di Autonomia Operaia, e che, dall’altra parte, conservava un volto pubblico e movimentista.
Il mito dell’invincibilità e dell’impenetrabilità delle Br, in realtà, si dovette soprattutto alle testimonianze, un po’ obnubilate, per la verità, dei primi sequestrati (Costa e Sossi, soprattutto), non certo alla vera situazione di quella struttura. Di fatto, la repressione del fenomeno avvenne in modo altalenante (la Commissione Stragi parla di stop and go), anche se, poche settimane dopo la fine del sequestro Sossi, Dalla Chiesa aveva già infiltrato padre Girotto (detto "frate mitra") nella organizzazione, giungendo all’arresto di due dei capi storici delle Br, Renato Curcio e Franceschini. Per contro, con una facilità altrettanto stupefacente, Margherita Cagol, detta Mara, riuscì a liberare Curcio (che poi verrà arrestato una seconda volta) dal carcere di Casale Monferrato, dove era detenuto.
Tra il 1974 ed il 1976, anno di quella che potremmo chiamare "la rifondazione delle Br", il gruppo della stella a cinque punte toccò i minimi storici, sotto la costante pressione delle forze dell’ordine. Oltre a Curcio, vennero, infatti arrestati, a Milano, Nadia Mantovani, Angelo Basone, Vincenzo Guagliardo, Silvia Rossi Marchese e, alla stazione centrale, Semeria.
Come i pochi superstiti dell’organizzazione abbiano potuto, in tempi brevissimi, ricostituirsi e, anzi, fare un notevole salto di qualità in termini di aggressione allo Stato, rimane un mistero: per certo, vi fu un atteggiamento inspiegabile, censurabile e, per certi versi, inquietante, da parte delle istituzioni, che mutarono decisamente registro, lasciando la presa e ponendo le premesse per la terribile stagione del sequestro Moro.
Nel ’75, per esempio, fu sciolto il nucleo antiterrorismo del generale Dalla Chiesa, che pure aveva ottenuto lusinghieri successi nella lotta all'eversione; questo nonostante che i servizi di sicurezza avessero informato il governo di una forte possibilità di riorganizzazione delle strutture terroristiche con obiettivi più cruenti ed una struttura superclandestina (il generale Maletti mandò, nel luglio 1975, un’informativa all’allora Ministro dell’Interno, Gui ).
Nel’76, le Br posero l’omicidio politico come loro obiettivo prioritario: il primo a farne le spese, con due agenti di scorta, fu il Procuratore della Repubblica di Genova, Coco: l’organizzazione, a detta degli stessi brigatisti, era stata pesantemente modificata, non solo nei bersagli, ma anche nelle strutture, che perseguirono la strategia di "portare l’attacco al cuore dello Stato". Il centro logistico delle Br (Bonisoli, Azzolini, Moretti) divenne il perno di ogni attività, mentre venne completamente esautorata la direzione strategica.
Un’altra domanda che viene spontanea è: come è possibile che quindici terroristi in crisi possano concepire un progetto tanto ambizioso come muovere guerra allo Stato? La risposta che danno gli ex brigatisti soddisfa fino ad un certo punto: i militanti si sarebbero trovati ad un bivio, per cui o ci si scioglieva o si radicalizzava lo scontro per la vittoria; inoltre, se non ci fosse stata la recrudescenza del terrorismo di piazza (AutOp eccetera), avrebbero mollato, probabilmente, tutto.
Di fatto, i moti di cui si tratta avvennero solo nel 1977, mentre la rifondazione risale al ’75 o, al massimo, al ’76: qui, piuttosto, dobbiamo parlare di una sorta di acquiescenza dello Stato, che non mise a frutto il pur notevolissimo patrimonio informativo acquisito negli anni precedenti, permettendo al movimento di risorgere e consolidarsi: si pensi, tra gli altri esempi, all’arresto e al rilascio di Morucci o all’evasione di Prospero Gallinari!
Certamente, i moti del 1977 contribuirono pesantemente ad un rilancio dell’eversione, ma si innestarono in un fenomeno evolutivo già in atto. Questi moti iniziarono il 1° febbraio del 1977, quando, in un’aula occupata dell’Università di Roma, durante uno scontro tra estremisti di opposte fazioni, venne ferito alla testa uno studente di sinistra, Guido Bellachioma.
Di qui nacque un vasto movimento organizzato dai gruppi di sinistra, con una forte presenza dei cosiddetti "indiani metropolitani" (la cosiddetta "ala creativa" del movimento, folkloristica ma non particolarmente violenta), che culminò nello scontro con il servizio d’ordine che proteggeva il sindacalista Luciano Lama, che vide tra i protagonisti i futuri Br Libera e Savasta.
In quel periodo, moltissimi giovani si avvicinarono a vario titolo alle Br, che divennero per centinaia di migliaia di ragazzi, rimasti privi di punti di riferimento (questa, almeno, la teoria di Valerio Morucci), il simbolo dell’ortodossia marxista-leninista, oltre che anarco-libertaria. È il periodo in cui, nei cortei, cominciavano ad apparire le famigerate P38, segnale di un’ulteriore radicalizzazione dello scontro, oltre che di un enorme allargamento della base di reclutamento del terrorismo rosso.
In concomitanza con questa escalation, la risposta dello Stato era sempre più debole e tentennante, fino a toccare i grotteschi vertici di inefficienza, che in alcvuni casi non è azzardato definire sospetta, del sequestro Moro. Se, tuttavia, dobbiamo indicare il figlio prediletto del movimento del’77, questo non è da ricercarsi né nelle nuove Br né nella crisi dello Stato: il portato più diretto delle grandi manifestazioni della "compagna P38", fu una nuova sigla terroristica che avrebbe segnato di sangue l’Italia centrosettentrionale, cioè Prima Linea.


Da manifestanti a killer: Prima Linea

Pl nacque ufficialmente con un atto costitutivo ancora più alla luce del sole di quello che segnò la nascita delle Br: già nell’autunno del 1976, a Salò e a Stresa, si erano riuniti gli esponenti delle frange più estreme di uno dei gruppi extraparlamentari più noti, Lotta Continua, per discutere sulle nuove strategie rivoluzionarie.
Il congresso costitutivo vero e proprio di Pl, però, avvenne a San Michele a Torre, nell’aprile del 1977, e vide la trasformazione del servizio d’ordine di Lc in un’organizzazione eversiva di matrice terroristica: gli uomini dei servizi d’ordine avevano già una vasta esperienza di violenze sul territorio, ed era tempo che questa esperienza si concretizzasse in un’azione, diciamo così, più incisiva.
Nel volantino di rivendicazione della prima azione clamorosa di Pl (l’irruzione nella sede dei dirigenti Fiat, il 30 novembre 1976), l’organizzazione così si autodefiniva: "Pl non è un nuovo nucleo combattente comunista, ma l’aggregazione di vari nuclei guerriglieri che finora hanno agito con sigle diverse". Questi nuclei, che erano, in gran parte, appunto, i servizi d’ordine di Lc, erano assai radicati a Milano, Bergamo, Napoli, Torino, in Brianza, a Sesto San Giovanni (la Stalingrado d’Italia) e, più in generale, nel Centro-Nord del Paese.
Al vertice dell’organizzazione c’era una "conferenza" cui doveva rispondere del proprio operato il "comando nazionale"; esistevano poi un settore logistico ed uno informativo. La struttura armata di Pl si basava su diversi settori: le ronde proletarie, i gruppi di fuoco (che potevano decidere le azioni), le squadre di combattimento (meri esecutori); si può notare già dalla scelta dei nomi la carica notevolmente aggressiva di questa formazione.
I capi di Pl, spesso, erano ex sergenti dei servizi d’ordine, abituati ad un’esibizione arrogante del proprio potere e della propria violenza: erano ben noti e si sentivano degli intoccabili. Chicco Galmozzi, ad esempio, fu arrestato nel ’76 dopo una serata passata a gavazzare con libri e liquori, frutto di un "esproprio proletario"!
La rivista Senza tregua, legale ancorché contigua a Pl, vedeva sfilare sotto i propri striscioni giovani che esibivano armi da fuoco gridando: "Basta parolai, armi agli opera!"; e nessuno si sognava di arrestarli. L’impunità dei militanti di Pl toccò livelli inconcepibili: basti pensare all’episodio in cui, durante un’incursione della cellula di Torino di Pl nel centro studi "Donati" (della corrente Dc vicina a Carlo Donat Cattin, padre del capo di quella stessa cellula, Marco Donat Cattin!), la terrorista Barbara Graglia dimenticò sul luogo dell’irruzione i propri guanti con sopra il numero di matricola delle allieve del collegio del Sacro Cuore e, perciò, immediatamente riconducibili alla sua persona! In una perquisizione a casa delle Graglia, le forze dell’ordine trovarono materiale che collegava direttamente gli attentatori alla guerriglia clandestina, nonché a PotOp e alla rivista Senza Tregua; ma nessuno pensò di fare due più due.
Anche per Pl, come già detto per le nuove Br, una sostanziale sottovalutazione da parte dello Stato si coniugò con un forte radicamento ed una vasta base di simpatizzanti. In effetti, già nel maggio del 1977 erano in carcere alcuni dei più noti leader dell’organizzazione, come, oltre al già citato Galmozzi, Borelli o Scalvini; ma furono rimessi in libertà… Durante il sequestro Moro fu liberato Baglioni; subito dopo, Rosso e Libardi. Marco Donat Cattin svolgeva indisturbato il suo lavoro di bibliotecario presso l’istituto "Galileo Ferraris" di Torino, ed otteneva regolari permessi, che usava per partecipare alle azioni armate.
La rivendicazione dell’omicidio del maresciallo Berardi, uomo di punta dell’antiterrorismo, avvenuto il 10 marzo del 1978, fu fatta dal telefono fisso di casa Donat Cattin, e venne registrata regolarmente: possibile che a nessuno fosse venuto un solo dubbio su quel tranquillo, ultraraccomandato, bibliotecario?
"Roby il pazzo", ossia Roberto Sandalo, capo del servizio d’ordine di Lotta Continua, fu addirittura ammesso alla prestigiosa Scuola Militare Alpina di Aosta e, da sottotenente, trasportò armi per l’organizzazione clandestina…
Concludendo, nella mancata distruzione di Pl e nell’alterno atteggiamento delle istituzioni nei suoi riguardi, possiamo annotare quanto segue: innanzi tutto, anche per Pl vale il discorso già fatto per le Br, ossia una forte tendenza ad un atteggiamento incostante nel perseguire ed indagare i soggetti che fossero un una posizione borderline tra estremismo ed eversione vera e propria. Inoltre, l’origine alto borghese di molti esponenti di questa organizzazione diede il via a minimizzazioni del loro operato ed anche ad interventi di raccomandazione in singoli processi (Donat Cattin, per tutti). Infine, il forte radicamento in una situazione politica incandescente, consigliò, talvolta, atteggiamenti prudenziali da parte degli inquirenti.
Per contro, l’attività della magistratura (che pagò un prezzo molto alto al terrorismo di Pl: Bachelet, Alessandrini, Croce) fu spesso eroica e mostrò grande fermezza nel procedere contro i terroristi.
Una generale sottovalutazione e minimizzazione dell’azione del terrorismo rosso, in generale, è da attribuirsi, poi, all’intero corpo sociale, e, in particolare a quella parte orientata a sinistra, che non poteva non sentire una certa qual contiguità di valori con chi faceva la scelta estrema della lotta armata; il che, la portò a lungo ad attribuire quella lotta armata a colori politici diversi dal proprio, con un errore di valutazione indubbiamente tragico.

Il "dopo Moro"
Non parleremo, in questa sede, del sequestro Moro. Diremo, piuttosto, che, dopo la tragedia di Moro e della sua scorta, e, soprattutto, dopo l’inspiegabile scioglimento dell’Ispettorato Antiterrorismo (creato nel ’74 e sciolto nel gennaio del ’78, in pieno boom del terrorismo), che, insieme a quello del gruppo "Dalla Chiesa" venne aspramente censurato dalla Commissione Stragi, qualcosa, nella lotta all’eversione cominciò a muoversi.
Nel settembre 1978, dopo aver ottenuto pieni poteri da Andreotti e Rognoni, rispettivamente capo del Governo e ministro dell’Interno, il generale Dalla Chiesa ricostituì il Nucleo Antiterrorismo, e subito si cominciarono a vedere i risultati. Nell’autunno di quell’anno, nel covo milanese di via Montenevoso, gli uomini di Dalla Chiesa catturarono due dei cinque membri dell’esecutivo delle Br: la stampa, tuttavia, minimizzò sull’episodio, descrivendo i due come semplici estensori di volantini. Il ritrovamento in via Montenevoso delle "carte di Moro", oggi fa sorridere amaro: se soltanto pochi mesi prima lo Stato avesse mostrato tanta efficienza, avrebbe potuto sapere quelle cose dalla viva voce del leader democristiano!
Nei tre anni successivi, la storia della lotta al terrorismo vide una singolare alternanza di successi e di insuccessi; bisogna dire che gli stessi terroristi commisero dei clamorosi autogol: Pl (Donat Cattin) assassinò il giudice riformista Alessandrini, sostenendo che i riformisti erano più pericolosi dei reazionari, mentre le Br uccisero il sindacalista-operaio Guido Rossa; entrambi gli episodi si rivelarono assai controproducenti dal punto di vista propagandistico e contribuirono ad isolare il partito della lotta armata dal resto del movimento.
Alti e bassi, appunto: la figlia del giudice sequestrato D’Urso lesse alla radio un comunicato Br e, poco dopo, Mario Moretti si fece arrestare in seguito ad una banalissima infiltrazione; nel frattempo, il terrorismo si divise e si frammentò: nacque la colonna Br autonoma "Walter Alasia" a Milano, le stesse Br si divisero tra i movimentisti di Senzani ed i militaristi: tuttavia, il colpo definitivo all’organizzazione tardava ad arrivare.
Eppure, orfane di Moretti, le Br misero a segno in pochissimo tempo quattro sequestri: Sandrucci, Taliercio, Peci e Cirillo. Quest’ultimo si sarebbe concluso in modo del tutto inquietante, in uno scenario che prefigura contatti oscuri fra terrorismo, mafia e servizi segreti e che non è stato ancora pienamente messo in luce.
Ma gli anni Settanta erano finiti, e con essi le condizioni socioeconomiche che furono il terreno di coltura del terrorismo: i pentiti, gli arresti, la mutata atmosfera nelle fabbriche furono altrettante campane a morto per l’eversione rossa. A Pasqua del 1981, a Barzio (Lecco), Pl si sciolse; le stesse Br, pur continuando a colpire, non miravano più all’attacco al cuore dello Stato, ma tentavano nuovi radicamenti al Sud, scontrandosi, inevitabilmente, col campo d’azione della criminalità organizzata.
L’ultimo colpo di coda delle Br (Savasta) fu il sequestro del generale americano J.L. Dozier, avvenuto a Verona il 17 dicembre 1981: era la prima volta che dei guerriglieri catturavano un generale Usa! Ma, dietro il fatto concreto del sequestro, non c’erano idee, né piani precisi, né obiettivi strategici; ed il generale fu liberato con una facilità impressionante.
Di fatto, le Br erano già, come sottolinea la Commissione Stragi, un fenomeno residuale: dopo la liberazione di Dozier, un migliaio di arresti smantellò l’organizzazione terroristica. Questo non impedì altri omicidi, come quello Tarantelli (1985) o quello Giorgieri; ma anche se, nella farneticazione dei comunicati, i brigatisti parlavano di "ritirata strategica", si capiva che era il crepuscolo, per quei pochi rimasti a difendere la propria aberrante dottrina eversiva.
Recentemente, l’omicidio D’Antona ha riproposto il problema del terrorismo brigatista; e, ancor più recentemente, la guerriglia urbana di Genova e le attività dei centri sociali hanno mostrato un volto che, per molti versi ricorda quello del movimento che originò il terrorismo negli anni ’70.
Per questo, noi sosteniamo che la storia di quegli anni non si debba rimuovere, ma studiare attentamente: ci sembra il modo più logico per evitare che quella storia si ripeta.